SERBIA: l'Italia, l'Olanda e i criminali di guerra.

di Matteo Zola

L’Olanda abbandonerà le sue rigide posizioni nei confronti del processo di integrazione europea della Serbia. Almeno secondo il ministro degli esteri italiano Franco Frattini che, in una intervista apparsa oggi sul quotidiano di Belgrado Vecernje Novostisi, si è detto ottimista. Il procuratore capo del Tribunale penale dell’Aja (Tpi), Serge Brammertz, farà nei prossimi giorni nella capitale serba. L’Olanda è l’unico paese della Ue che si oppone ancora con forza allo scongelamento dell’Accordo commerciale transitorio e dell’Accordo di associazione e stabilizzazione (Asa) fra Belgrado e Bruxelles, tappe importanti sulla strada verso l’integrazione della Serbia nell’Unione europea.

Il governo olandese, però, ha i suoi buoni motivi: chiede infatti piena collaborazione di Belgrado con il Tpi per quanto riguarda la cattura e la consegna al Tribunale dell’Aja di Ratko Mladic e Goran Hadzic, gli ultimi due ricercati per i crimini di guerra durante i conflitti nei Balcani degli anni novanta. Mladic è l’ex capo militare dei serbi di Bosnia, responsabile del massacro di Srebrenica, Hadzic è l’ex leader politico dei serbi di Croazia.

L’ottimismo di Frattini non sembra dunque ben riposto. L’Italia da tempo s’impegna nella mediazione tra l’UE e i paesi dei balcani, con esiti alterni. Per favorire i propri interessi economici non ha esitato ad appoggiare il premier montenegrino Milo Djukanovic, accusato dai pm baresi Giuseppe Scelsi e Eugenia Pontassuglia di essere stato ai vertici di un’associazione mafiosa finalizzata al traffico internazionale di sigarette che avrebbe agito dal 1994 al 2002 tra il Montenegro, l’Italia e l’Europa, riciclando milioni di euro in Svizzera, a Cipro e in altri paradisi fiscali.

Poco sensibile alle questioni umanitarie, la Farnesina è più interessata a quelle economiche, e se c’è qualche criminale di guerra da proteggere non si tira indietro: come nel caso di Goran Davidovic, 34 anni, soprannominato «il Fuhrer», capo del movimento neonazista serbo Nacionalni Stroj, poi estradato a Belgrado su richiesta di una Serbia che ci tiene a far vedere alla UE quanto s’impegni nella caccia ai criminali di guerra e alla lotta contro il razzismo. Un impegno di facciata se consideriamo che Karadzic  viveva indisturbato nel centro di Belgrado. Come poi la Serbia, deliberatamente aggredita dalla Nato -quindi anche dall’Italia del governo D’Alema- solo dieci anni fa, valuti l’ottimismo della Farnesina, non possiamo sapere. Finora la UE, la Nato e l’Onu hanno regalato alla Serbia il bombardamento di Belgrado, la perdita del Montenegro, l’indipendenza del Kosovo.

Secondo il ministro degli esteri, dopo la visita di Brammertz a Belgrado – in programma l’11 e 12 maggio prossimi – l’Olanda cedera’ e si mostrera’ piu’ disponibile. Nell’intervista Frattini ha sottolineato l’impegno dell’Italia per accelerare il processo di integrazione della Serbia e in generale dei Balcani occidentali nella Ue, affermando che l’abolizione del regime dei visti verra’ decisa ”a dicembre o all’inizio dell’anno prossimo”.


Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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