Oggi è la festa dell'Europa, ma ci manca la gioia

Oggi è la festa dell’Europa, dell’Europa unita. Oggi è infatti la giornata in cui si ricorda la dichiarazione del 1950 di Robert Schuman considerata l’atto di nascita dell’attuale Unione Europea. Ma oggi l’Unione Europea è detestata da molti cittadini del vecchio continente che ne disprezzano, in diversa misura, l’incapacità politica, le misure economiche, il dominio tedesco, e la percepiscono come un mostro burocratico e finanziario. Come dargli torto? Il rischio però è quello di buttar via il bambino con l’acqua sporca.

Dopo il crollo del blocco sovietico, le democrazie liberali hanno rinunciato ad ogni aspirazione, cadendo preda del populismo. Oggi il modello democratico vive una sensibile crisi e il vecchio continente è attraversato da tensioni reazionarie a vocazione nazionalistica o clericale: strumenti nelle mani di oligarchie politiche ed economiche che, agli interessi collettivi, antepongono quello che Guicciardini chiamava il particulare. Soprattutto nell’Europa orientale queste tensioni e contraddizioni emergono con più evidenza, ma è l’Europa intera a vivere un condiviso stato di crisi.

Alla scomparsa dell’Est è immediatamente seguita quella dell’Ovest, appagato dalla sensazione di essere vincitore, consolato dall’idea della finis historiae. Ma la storia non è finita e, negli ultimi vent’anni, il cosiddetto “occidente” non sembra migliorato. La grande occasione è l’Europa unita: uscire dalle secche dell’atlantismo in declino attraverso un nuovo progetto politico. Oggi l’Europa è unita, simbolicamente, solo dalla moneta cui sottende -certo- un’unione finanziaria ed economica che concerne anche quei Paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Le istituzioni comunitarie soffrono esse stesse di un deficit democratico: la scarsa rappresentatività si associa a una ridotta capacità politica. Solo un nuovosuffragio e nuove regole di rappresentatività potranno risolvere l’impasse europea. Solo una Europa realmente unita e coesa potrà rispondere con parità alle sfide lanciate dalle altre grandi realtà mondiali.

E’ dunque necessario non avere paura di esprimere idee europee, manifestando pubblicamente quei valori di libertà e solidarietà che sono alla base della nostra civiltà.

Ma cos’è questa Europa? “Con l’Europa succede un po’ quel che succedeva a sant’Agostino con il tempo – scrive Claudio Magris – se non gli si chiedeva cos’era, credeva di saperlo, ma quando glielo chiedevano gli sembrava di non saperlo più. Il forte ma vago senso di appartenenza all’Europa non si lascia definire”.

L’indefinitezza dell’Europa è ciò che in molti muove alla critica, anche aspra, sulla necessità del continente ad esistere come Unione. Eppure, anche nelle parole dei detrattori, sembra avvertirsi l’ansia di un cambiamento, di una Europa diversa, consapevoli che un ritorno alla frammentazione renderebbe tutti più deboli e poveri. Oggi, sia nel dibattito politico che nella riflessione scientifica, quando si parla di Europa ci si riferisce in genere all’Unione Europea tanto che i due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi. Buona parte dei Paesi europei è parte dell’Unione mentre gli altri vi gravitano attorno, attraverso negoziati di adesione o accordi politico-economici. Questa Unione Europea è però divisa al suo interno anche se, nel suo insieme, l’Europa non è più riducibile alla semplice somma dei suoi Paesi.

Le difficoltà del momento attuale non si possono nascondere, ciò non significa però che si debba abbandonare il progetto. Meglio sarebbe mutarne la rotta, farlo nuovo. A che servirebbe cancellare con un colpo di spugna cinquant’anni di fatiche, l’epopea di un continente che sulle macerie di due guerre mondiali comprende la necessità di unirsi. Alla crisi politica ed economica, che vede fermo al palo anche il processo di integrazione, si può sostituire un rinnovato vigore che si fondi, anzitutto, sulla coscienza di essere europei.

La nostra vita collettiva è regolata da istituzioni e leggi, fatte da noi e che noi possiamo cambiare. Istituzioni forti e leggi efficaci producono coesione sociale. La mancata unità dell’Unione è dunque dovuta proprio alla debolezza delle sue istituzioni e leggi.

 Solo un’Europa unita e democratica potrà tornare a proporre valori universali, riacquisendo quella centralità da più d’un secolo perduta e tornando ad essere libero interlocutore nelle ardue sfide globali che ci attendono. L’attuale classe dirigente europea non sembra in grado di svolgere il compito che le è assegnato. L’alternativa, però, non può essere il populismo nazionalista. L’inno dell’Europa è l’inno alla gioia. Una gioia che ci manca. In questo contesto di crisi economica e di crisi politica, i cittadini europei devono rivendicare spazi di democrazia, pretendere democrazia, e rispondere alla crisi dell’Europa chiedendo più Europa. Devono evitare, insomma, che si realizzi quanto auspicato, tra gli altri, da Mario Draghi, ovvero che l’Europa rinunci al suo modello sociale. Senza il nostro modello sociale non saremo più europei, ma cinesi, americani, russi. La scelta è nostra.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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7 commenti

  1. Bell’articolo. Ma quando Draghi avrebbe auspicato la rinuncia al modello sociale europeo?

  2. Secondo me tutto dovrebbe partire dalle scuole, come credo che valga per la maggior parte dei cambiamenti. L’Unione europea come argomento non solo dei programmi di storia (cui comunque si fa riferimento solo se l’insegnante è abbastanza veloce, altrimenti gli ultimi decenni li lasciano come “studio individuale), ma anche di educazione civica, che al massimo insegna la Costituzione italiana. E l’educazione civica dovrebbe essere una materia portante, presente in tutte le scuole, professionali, tecniche e licei.
    Siamo europei, qualcuno dovrebbe dircelo. Dovremmo sapere cosa è il modello europeo, per mantenerlo.

    Per fortuna l’Ue stessa organizza dei bei programmi per coinvolgere i giovanissimi. Spero che gli insegnanti italiani siano intimati di tenersi aggiornati in merito e ne facciano uso! Da una conoscenza profonda dell’Ue e di COSA FA veramente potrebbe nascere un attaccamento all’Unione stessa. Resteranno sempre i contrari ed è bene che ci siano, ma potrebbe calare il numero di coloro che sono anti-Ue perchè male informati sulla sua importanza.

  3. “considero ormai superato il modello sociale europeo”, se cerchi lo trovi. Fuori dal suo contesto è una frase che può voler dire tutto. Draghi ha detto prima che, con la crisi, era cosa cui rinunciare. Poi, qualche tempo dopo, che occorre riformarlo. Riformarlo come, non è dato sapersi. Liberalizzando sanità e istruzione? ma sono cattivo…

  4. Condivido le idee del suo articolo,purtroppo penso che il primo passo
    sarebbe un Italia unita, e qualche passo ( “indietro”? ) lo dobbiamo
    ancora fare.L’Europa unita è un bel sogno,pensavo di averlo quasi raggiunto,o che l’euro (moneta) avremmo dovuto pagarlo caro,ma che un giorno,ci avrebbe trovati uniti come popoli di diversi Paesi ma di una stessa “Terra”, Dovremo imparare ancora delle regole,ci vorrà tempo,ma credo ancora ai sogni. Lei non è cattivo:),la sanità e l’istruzione sono beni pubblici in un Paese civile.
    Un Paese civile dovrebbe avere le persone giuste al posto giusto,per garantire la dignità del cittadino con il diritto e il dovere al “lavoro”.
    Grazie e buon lavoro.

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