SERBIA: Vojvodina, l'autonomia negata

di Christian Eccher

In Vojvodina vivono più di 25 nazionalità e proprio questo elemento fa sì che la regione si distingua dal resto della Serbia. Non a caso, durante il socialismo, la Vojvodina era autonoma; da un giorno all’altro, Milošević cancellò l’autonomia e trasferì a Belgrado tutte le competenze politiche e fiscali che erano appartenute a Novi Sad. Il diritto all’autonomia è stato restituito tre anni fa dall’attuale governo democratico guidato dal premier Mirko Cvetković, ma è un diritto fittizio, un semplice spot pubblicitario che non ha contribuito a migliorare la vita dei cittadini della Vojvodina.

A Novi Sad esiste un Parlamento, le cui funzioni sono confuse. A settembre dell’anno scorso, l’emendamento sulle proprietà pubbliche (si trattava di stabilire quali edifici ed enti pubblici dovessero essere amministrati dal governo centrale e quali da quello della Vojvodina) è stato approvato in una maniera alquanto bizzarra: il premier della Vojvodina, Bojan Pajtić, un membro del partito democratico (DS) a cui appartengono anche Cvetković e l’ormai ex presidente della Repubblica serba Tadić, ha preferito evitare noiose discussioni in Parlamento, ha annullato la seduta prevista e si è accordato direttamente con Cvetković. I due non si sono neanche incontrati. Hanno risolto tutto in una decina di minuti, al telefono. I partiti che più di altri caldeggiano l’autonomia della Vojvodina, a cominciare dalla Lega degli ungheresi della Vojvodina (SVM), hanno gridato allo scandalo e hanno denunciato il governo centrale di non sapere neppure cosa voglia dire la parola “autonomia“. Dagli altri partiti, quasi tutti con sede centrale a Belgrado, si sono levate solo flebili proteste, che si sono rapidamente spente.

Il caso della legge sulle proprietà pubbliche ha semplicemente messo in luce un problema che esiste dall’epoca di Milošević, vale a dire il centralismo che caratterizza la scena politica serba e che in Vojvodina è riuscito a far tacere anche le anime più riottose e i più ardenti autonomisti. Il sistema elettorale della Vojvodina, infatti, penalizza i partiti regionali: la LSV – Lega socialdemocratica della Vojvodina, guidata dal carismatico Nenad Čanak – per esempio, è stata costretta per poter sopravvivere ad allearsi con i DS di Boris Tadić. Anche quando Pajić si è rifiutato di consultare il parlamento in occasione della legge sulle proprietà pubbliche, Čanak ha evitato di polemizzare con gli alleati. I DS dispongono di una maggiore visibilità e di un budget enorme per la campagna elettorale in quanto partito nazionale.

I piccoli partiti temono una campagna denigratoria nei loro confronti, a cui non potrebbero opporre resistenza per mancanza di fondi; in più, le formazioni politiche belgradesi controllano saldamente le dinamiche occupazionali nei posti pubblici e utilizzano il lavoro come arma per ottenere voti. I piccoli partiti possono resistere soltanto se i partiti più grandi rinunciano a una parte della torta e permettono loro di avere un margine di manovra, soprattutto nella distribuzione dei posti di lavoro.

Chi in Serbia parla apertamente di autonomia è un nemico convinto della patria, qualcuno da isolare perché prima o poi riconoscerà anche l’indipenza del Kosovo. L’equazione autonomia della Vojvodina-indipendenza del Kosovo è stata creata ad arte dai mezzi di comunicazione di massa per creare difficoltà a quanti – non solo in Vojvodina – vorrebbero che Belgrado allentasse la morsa centralistica sul paese. Di questo sono colpevoli gli intellettuali organici alla partitocrazia; i DS hanno in questo senso molte responsabilità, dato che hanno nepotisticamente impiegato nelle principali testate giornalistiche e televisive solo persone tesserate a un partito di governo (gli intellettuali hanno giocato un ruolo fondamentale anche durante le guerre degli anni Novanta: la politica di Milošević e quella di Tuđman in Croazia non avrebbero potuto essere attuate senza uno stuolo di giornalisti, professori universitari, scrittori, pronti a servire l’ideologia dominante. Chi dissentiva, come Predrag Matvejević in Croazia, sceglieva spesso la strada dell’asilo o dell’esilio proprio perché in patria si sentiva isolato).

Quali sono le conseguenze di quello che può essere definito il vassallaggio che Belgrado impone alla Vojvodina? La prima, e la più grave, è la scomparsa del ceto medio, che è sempre stato debole e modesto, ma che costituiva l’intellighenzia politicamente impegnata. Oggi, ogni nazionalità tende a rinchiudersi sempre di più in sé stessa, spaventata dagli sconvolgimenti che le guerre degli anni Novanta hanno causato. Il ceto medio di Novi Sad era plurietnico e sentiva di appartenere alla Vojvodina: adesso gli individui si schierano spesso per nazionalità e alcune di esse, come quella ungherese o quella rumena, sono molto litigiose al proprio interno. Il ceto medio è scomparso anche perché l’intera Vojvodina si è impoverita, un po’ a causa della guerra e un po’ a causa del fatto che la poca ricchezza prodotta dall’agricoltura e dall’industria è controllata da Belgrado. Come ho già detto, inoltre, per trovare lavoro è necessaria l’iscrizione a un partito, la cui sede è, ancora una volta, a Belgrado; ciò influenza notevolmente il corpo elettorale.

La seconda conseguenza è l’impoverimento delle zone rurali. I paesi che Maria Teresa fece radere al suolo per poi farli ricostruire secondo un piano urbanistico razionale e illuminato, si spopolano sempre di più: l’agricoltura non rende, i giovani si trasferiscono nei centri urbani se non, nel caso delle minoranze ungheresi e rumene, a Budapest o a Bucarest. Belgrado non fa nulla per fermare questo fenomeno.

La terza riguarda la sfera culturale: il governo centrale finanzia soltanto le istituzioni artistiche della capitale. A Novi Sad e a Sombor, dove c’è un teatro all’italiana architettonicamente prestigioso, i repertori sono asfittici, lontani anni luce da quelli presenti nel resto d’Europa. Novi Sad, una città che ha ormai 400.000 abitanti, non ha un’orchestra stabile e una stagione concertistica degna di questo nome: i Vojvođanski simfoničari (l’orchestra sinfonica della Vojvodina), diretti dal bravo maestro Berislav Skenderović, suonano 6 o 7 volte all’anno, quando e se ottengono i finanziamenti. Quanto detto non riguarda solo la Vojvodina, ma l’intera Serbia, con l’eccezione, ovviamente, di Belgrado.

La quarta conseguenza concerne le infrastrutture: la ferrovia che collega Novi Sad a Subotica, che si trova sulla trafficatissima linea Belgrado-Budapest, è a binario unico. Negli anni ’80 il treno percorreva i 90 km che separano Subotica e Novi Sad in un’ora e venti minuti. Oggi, l’intercity “Ivo Andrić” impiega più di 2 ore! Le linee ferroviarie secondarie sono impraticabili, ricoperte di erbacce e non più attive. Per raggiungere Novi Sad da Timisoara in treno e percorrere così poco più di 100 km ci vogliono 8-9 ore. Le strade comunali e provinciali sono strette e pericolose; l’autostrada Subotica-Belgrado, l’unica via di comunicazione relativamente veloce, è un cantiere a cielo aperto. In Vojvodina muoversi da ovest verso est e viceversa è una vera e propria impresa.

L’impressione è che il divario fra i partiti con sede a Belgrado e l’opinione pubblica in Vojvodina si vada allargando sempre di più, cosa che però sembra non tangere il governo centrale. L’autonomia negata e il malcontento per le difficili condizioni di vita stanno lasciando sempre più spazio a spinte indipendentiste, che però difficilmente si realizzeranno: la Vojvodina è ancora sotto l’anestesia degli anni ’90 e non ha una vita politica attiva. Belgrado, inoltre, dista solo 90 km da Novi Sad e non permetterebbe mai che la regione più ricca della Serbia si distacchi dal resto del paese. In questi giorni, però, è stato organizzato un incontro (la Quarta Convenzione della Vojvodina) in cui diversi membri della società civile chiedono di cambiare la Costituzione serba e che la Vojvodina venga proclamata Repubblica, non indipendente ma autonoma all’interno dello Stato serbo. All’incontro hanno partecipato anche il Presidente del Parlamento della Vojvodina Sandor Egeresi e il leader della SVM Balint Pastor.

A inizio maggio sono previste le elezioni politiche in tutta la Serbia. I favoriti in Vojvodina sono pur sempre i DS, ma non è escluso che facciano il pieno di voti anche LSV, SVM e Preokret, la coalizione guidata dal liberale Čedomir Jovanović che vuole lasciare il Kosovo al proprio destino di Repubblica indipendente.

In primavera, in Vojvodina soffia la košava, un vento freddo che viene da est, spazza il Danubio e alza al cielo le foglie secche e i giornali abbandonati per strada. Chissà che non risvegli dal torpore anche gli abitanti della regione.

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4 commenti

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto and commented:
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  2. serena luciani

    ottimo articolo, molto ben documentato, esauriente, consente una visione ampia della situazione

  3. Davvero molto ben fatto bravo Christian…non so se leggerai questo commento sono Andrea il ragazzo disabile con cui tu hai condiviso l’esperienza del corso estivo di lingua croata a Zagabria nel lontano 2006.E’ passato del tempo forse nn ricordi..cmq mi piacerebbe rientrare in contatto

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