GRECIA-TURCHIA: Il Bosforo unisce o divide?

di Silvia Padrini

 I rapporti tra Grecia e Turchia raccontano una storia di vicinato difficile. Tra due vicini, com’è noto, il rischio di tensione è sempre alto e anche le banali scaramucce si depositano negli ingranaggi come ruggine. Sono numerose le sfaccettature che costituiscono lo stato dell’arte delle relazioni tra i due Stati: ce ne parlano i fatti e i simboli, le dichiarazioni e le rivendicazioni.

Che cosa corre sul filo che lega due paesi e – come in questo caso – due continenti?

Innanzitutto, il filo appare particolarmente teso quando ci sono delle dispute territoriali. La questione di Cipro rappresenta da sola un fattore sufficiente di rottura. Da decenni si alternano situazioni di alti e bassi. A riguardo, è recentissima la dichiarazione del ministro degli esteri turco Davutoglu mirata a ribadire il sostegno turco alla politica della Repubblica di Cipro del nord, politica che rimane ancorata alla posizione di non fare alcuna concessione alla repubblica greco-cipriota. Sul fronte di Nicosia, dunque, nessuno pare disposto a cedere.

Essere vicini comporta necessariamente anche un certo grado di interdipendenza. La Grecia sommersa dai debiti e aggrappata al salvagente europeo non può permettersi di rifiutare prospettive di crescita che possano farla uscire dal buio in cui si trova al momento. Ad Ankara questo “dettaglio” non è sfuggito. Qualche giorno fa Ali Babacan, importante politico ed economista turco, ha esposto un concetto che non fa una piega: l’unica speranza per la Grecia di risollevarsi è un avvicinamento alla Turchia. La soluzione alla crisi del debito sta nell’aumentare considerevolmente i commerci e gli investimenti con una potenza emergente che cresce ad un ritmo di circa l’8% annuo e che, per di più, si trova dietro l’angolo. Molti in Grecia avranno apprezzato la proposta, ma certamente il riferimento di Babacan all’impero ottomano non deve aver suscitato grandi sorrisi. Economia e politica, come sempre, vanno di pari passo. Non è detto, però, che delle più strette relazioni commerciali non favoriscano un dialogo su diversi fronti.

Come annunciato, i problemi tra i due paesi non si esauriscono rapidamente. Alcuni giorni fa, la nave turca di esplorazione “Piri Reis” è entrata nelle acque del mar Egeo senza informare Atene. La zona interessata non copre le acque territoriali dello Stato ellenico, ma la Grecia ne rivendica il diritto esclusivo di esplorazioni per le risorse minerarie. Continua così una disputa che si perde indietro nel tempo per il dominio delle acque nell’area del mar Mediterraneo e del mar Egeo.

La Turchia è un’economia in forte espansione e un aspirante leader regionale per l’area mediorientale. La Grecia, però, rappresenta qualcosa di ben più grande: è una porta per l’Europa. Il confine tra i due paesi è caldo anche perché è un salto tra due continenti. Le politiche migratorie dell’Unione Europea, per essere efficaci, devono concentrare molte delle energie a disposizione proprio in questo lembo di terra, tra il Bosforo e i Dardanelli. L’organizzazione europea per la difesa – il Frontex – ha dispiegato nel 2010 l’operazione RABIT al confine di terra greco-turco. Il check-point per l’accesso all’Europa è un investimento di grandi capitali, oltre che un punto strategico, e per questo è fondamentale la collaborazione attiva di Ankara.

Almeno al pari dei fatti, in ogni tipo di relazione, infine, contano i simboli. Ponti e strette di mano da sempre favoriscono i buoni rapporti. È significativo, a proposito, che Bosforo significhi “passaggio”. Un passaggio unisce, è qualcosa che supera i confini e aiuta la comunicazione. È una scoperta che rattrista ogni viaggiatore la notizia che, a causa della crisi, tutti i collegamenti ferroviari tra Grecia e Turchia sono stati soppressi. Fino a data da destinarsi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Grazie dell’articolo, Silvia, solo una precisazione: Frontex e l’agenzia europea per la difesa (EDA) sono due cose diverse. Frontex è un’agenzia di supporto, scambio di intelligence e coordinamento delle polizie di frontiera nazionali, nulla più, e le operazioni Rabit sono operazioni di supporto in casi di crisi.
    Per quanto riguarda i collegamenti ferroviari, nel 2012 è stato soppresso il transfrontaliero Bruxelles-Maastricht perché gli olandesi si lamentano che i treni belgi sono sempre in ritardo (il che è vero) ma nessuno ne ha fatto un dramma 🙂

  2. In effetti sarebbe stato meglio usare la parola “coordinamento” europeo, parlando di Frontex.
    Per quanto riguarda il collegamento ferroviario ho scritto solamente che è abbastanza frustrante non avere dei mezzi pubblici con cui raggiungere la Turchia.. Te lo dice qualcuno che tra un mese, a Thessaloniki, solleverà il pollice con un cartello in mano!

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