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Un nulla mafioso, ecco cosa sono le repubbliche separatiste del Donbass

Un nulla mafioso mantenuto dai rubli del Cremlino, questo sono state le repubbliche separatiste del Donbass, oltre qualsiasi retorica che ha teso invece a descriverle come il santuario di una minoranza perseguitata

Ora che, dopo lunghi tentennamenti, e anni di ipocrisia e sfacciate menzogne, la Russia ha deciso di ufficializzare il proprio possesso del Donbass, occupato già da milizie senza insegne nel 2014, è stato rimosso uno dei principali equivoci del conflitto con l’Ucraina, in quanto nella retorica di Mosca fino a ieri le armi sofisticate che sparavano verso l’Ucraina erano manovrate da autisti, agricoltori e idraulici del Donbass che si erano spontaneamente sollevati contro il cattivo governo di Kiev. La favola  della guerra civile ucraina, in cui il truce governo di Kiev aggrediva i suoi connazionali tanto amanti della Russia, era creduta ormai solo da qualche disinformato radical chic o da anziani stalinisti nostalgici, avvezzi agli articoli sui “fascisti di Kiev” puntualmente riproposti dalla stampa più generosa con Mosca.

Il passo compiuto da Mosca, che purtroppo non sarà l’ultimo nell’aggressione verso l’Ucraina, di cui la Russia aveva garantito nel memorandum di Budapest del ’94 l’integrità territoriale in cambio del disarmo nucleare, permette di fare maggiore chiarezza sulla situazione concreta del Donbass occupato.

Inscenare manifestazioni

Nel 2014, quando il presidente ucraino Yanukovich, dopo la strage del Maidan, abbandonato dal proprio partito, che votò l’evacuazione delle forze di sicurezza da Kiev, decise di fuggire prima a Kharkov e poi in Russia, subito da parte della Russia si decisero misure capaci di disgregare lo stato ucraino. Innanzitutto migliaia di “omini verdi” armati, con uniformi senza insegne, usciti dalle basi russe di Sebastopoli, presero la Crimea con forze soverchianti, mentre la Russia intimava all’occidente di fermare una possibile reazione ucraina agitando lo spettro della risposta nucleare; poi, si misero in azione le forze del partito di Yanukovich, prevalenti in varie regioni orientali, per inscenare manifestazioni capaci di sovvertire l’ordine pubblico.

Molti dimostranti giunsero con interi autobus dalla Russia a Donetsk e Lugansk per inveire contro il nuovo governo di Kiev e tentare di impadronirsi con la forza degli edifici del governo locale e dei servizi segreti. La stessa cosa avvenne a Kharkov, dove anche il sindaco Kernes, in un primo momento, mostrava di volersi unire alla Russia. L’accento dei dimostranti faceva intendere molto bene ai locali che si trattava di ospiti venuti da fuori. Vennero impiegate anche attrici, che si strappavano i capelli con uguali sceneggiate in varie località nel medesimo giorno, sempre filmate dalle tv russe compiacenti, per gridare il proprio amore verso la Russia.

Il punto cruciale fu il tradimento delle forze di polizia locali, fedeli a Yanukovich, che assistettero senza muovere un dito alle proteste e poi alla presa vera e propria delle amministrazioni pubbliche e delle sedi dell’SBU, i servizi segreti, sia a Donetsk sia a Lugansk. In quelle regioni deteneva un potere enorme l’oligarca Akhmetov, proprietario di quasi tutte le industrie locali e alleato di Yanukovich. Con le sue milizie personali avrebbe potuto, secondo tutti gli esperti, fermare le proteste e calmare la situazione nel giro di due giorni. Non lo fece, forse fermato da poteri ancora più forti, che avevano già deciso il destino del Donbass.

A Kharkov invece, le contro-proteste della popolazione riuscirono ad arrestare il processo avviato, le forze regolari ucraine si mossero con efficacia e il sindaco stesso dovette fare marcia indietro e cancellare i propri propositi di secessione. Da documenti filtrati dalla Russia, si è visto che inizialmente i servizi russi erano certi del successo dell’operazione a Kharkov, mentre dubitavano dell’esito della sollevazione a Donetsk. Gli esiti non corrisposero alle loro previsioni.

Le pubbliche amministrazioni, oltre che le forze di polizia, legate alla struttura di potere di Yanukovich, che aveva un totale controllo, di tipo mafioso, in quelle oblast, furono corresponsabili di quanto accadde, tradendo lo stato ucraino. A una conoscente che doveva rinnovare il passaporto, nel mese di marzo, a Lugansk, un impiegato chiese sprezzante: perché butta via i soldi così, che tra due mesi qui sarà Russia?

L’arrivo dei paramilitari

La tragedia reale iniziò quando in pacifiche cittadine presero ad arrivare autobus pieni di uomini armati, spesso ceceni. Sotto la guida di Igor Girkin, attaccarono partendo da Sloviansk, territorio prezioso poiché gli esperimenti di compagnie petrolifere lo ritenevano ricco di shale gas. Evidentemente, senza questi ospiti indesiderati, le dispute tra i fautori del vecchio e del nuovo governo si sarebbero esaurite con qualche scazzottata, e nulla più; anche secondo Luke Harding, celebre giornalista del Guardian, cacciato dalla Russia: “senza la Russia, nel 2014 non ci sarebbe stata nessuna guerra. Indubbiamente ci sarebbero state le tensioni tra il governo centrale di Kiev e le sue regioni orientali a maggioranza russa: una disputa politica su autonomia, devoluzione del potere, molteplici fallimenti dello stato ucraino e status della lingua russa, ma l’Ucraina non sarebbe caduta nel caos e sarebbero morte meno persone”. Ancora Harding: “Putin scatenò una guerra in Ucraina orientale, per quanto combattuta di nascosto, con soldati camuffati e agenti clandestini. Il conflitto che gravò sull’Ucraina nel 2014 non era, come affermò Mosca, una guerra civile. Si trattava in realtà di qualcosa di artificiale, una specie di Frankenstein creato a tavolino dal governo russo e portato alla vita dal brutale shock della forza militare e dell’invasione. Il GRU ebbe in questo un ruolo cruciale.”

Colte alla sprovvista da questo afflusso di uomini armati in borghese, molti cittadini compresero il pericolo e fuggirono con quanto potevano raccogliere, rifugiandosi in altre regioni o sulla costa del vicino Mar d’Azov. Molti di loro non fecero più ritorno a casa. Si calcola che più di un milione e mezzo di persone ha abbandonato il Donbass occupato, persone che per disponibilità economiche e livello intellettuale potevano ricostruirsi una vita altrove.

La nascita di un potere mafioso

Dai loro racconti si è potuto sapere che queste milizie in borghese hanno presto reclutato tra le loro fila una manovalanza di piccoli delinquenti locali, sfaccendati, disoccupati, che da un giorno all’altro si sono trovati tra le mani un kalashnikov e un potere prima impensabile nella propria comunità. Presto sono iniziati ricatti, rapimenti a scopo di estorsione, furti d’auto, rapine a mano armata, e si è costituito un potere mafioso capeggiato dai dirigenti delle milizie.

Questo potere si è poi esteso ai posti di blocco che hanno separato i territori occupati dall’Ucraina, generando un flusso di denaro quotidiano quantificato in migliaia di dollari, fra furti, sequestri, ricatti e l’appropriazione arbitraria di merci e auto, spesso con ferimento e arresto del proprietario.

Si sono costituite nelle due repubbliche due distinte organizzazioni mafiose, che si sono da subito guardate in cagnesco: anche dopo che un minimo servizio bancario è stato ripristinato, dopo un lungo periodo senza carte di credito e banche, è stato possibile inviare e ricevere denaro dall’estero, ma non fra le due repubbliche. Poi è iniziato l’esproprio fraudolento degli appartamenti di quanti erano fuggiti: ronde perlustravano la città nelle ore serali per individuare gli appartamenti senza luci, e capire così quali fossero gli immobili non occupati. Chi disponeva di parenti chiedeva di accendere le luci e abitarvi di tanto in tanto per evitare questi espropri.

Un profluvio di menzogne

I canali televisivi russi hanno inondato da subito  gli abitanti rimasti con un diluvio di fake news, e con una propaganda terrorizzante, riguardo a un fantomatico regime fascista insediatosi a Kiev, che presto avrebbe mosso contro di loro con le armi. Il medesimo profluvio di menzogne è stato destinato agli abitanti della Crimea, comunque già nelle salde mani di migliaia di “omini verdi” russi, che la tenevano con la loro schiacciante superiorità di armi e mezzi, provenienti dalle basi russe di Sebastopoli.

L’esercito ucraino

L’esercito ucraino era profondamente disorganizzato e privo di armamenti: nonostante tutto riuscì a respingere gli armati da Sloviansk e Kramatorsk e farli arretrare sino agli attuali territori da loro controllati. Durante l’estate l’afflusso di artiglieria pesante e mercenari o riservisti dalla Russia arrestò l’avanzata ucraina, e inflisse all’esercito regolare una terribile carneficina nella sacca di Ilovaisk, dove i soldati ucraini vennero accerchiati; vi fu un accordo con la controparte su un percorso di ritirata dalla sacca, ma le truppe in uscita vennero martellate dall’artiglieria, subendo centinaia di vittime.

L’esercito ucraino combatté disperatamente e vanamente all’interno dell’aeroporto di Donetsk, che andò completamente distrutto, e, tra gennaio e febbraio del 2015 a Debaltsevo, importante nodo ferroviario che permetteva di collegare le due repubbliche, e convogliare armi e denaro. Un’inchiesta condotta da giornalisti tedeschi, tempo dopo, testimoniò che settimanalmente a Debaltsevo arrivava dalla Russia un treno carico di denaro, necessario al mantenimento degli armati e al pagamento di pensioni e stipendi per gli abitanti. Il presidente Putin, a Minsk per la firma dei trattati omonimi, temporeggiò in attesa che la battaglia si concludesse a favore delle proprie forze speciali, inviate per la bisogna.

I capi mafiosi

Nelle due repubbliche si succedettero diversi capi delle varie milizie armate, quasi sempre eliminati in lotte fratricide e attentati, per la spartizione dei proventi illeciti; una medesima matrice mafiosa, e la rigorosa dipendenza dagli ordini di Mosca,  accomunava anche i presidenti succedutisi: i più noti, a Donetsk, Aleksander Borodai, poi divenuto deputato alla Duma russa, Aleksandr Zakharchenko, eliminato con un’autobomba, e l’attuale Denis Pushilin, ex pasticcere. A Lugansk si sono succeduti Valery Bolotov, Igor Plotnitski e l’attuale Leonid Pasechnik. Il team investigativo di Alexei Navalny ha scoperto che Borodai possiede un appartamento a Dubai del valore di 450.000 euro, e a Mosca ha acquistato un vasto appartamento in una zona prestigiosa, il Lomonosovi Prospekt, pur non dichiarando redditi.

Sin dall’occupazione, è stata esercitata una metodica spoliazione di impianti industriali, ditte private e apparecchiature di proprietà di persone assenti, o che non potevano difendere i propri beni con la forza. Interi impianti industriali sono stati smontati e inviati in Russia. Le apparecchiature più piccole sono state semplicemente sottratte e rivendute. Cospicui capitali sono così passati di mano senza colpo ferire. Professionisti benestanti e imprenditori sono stati vittima di rapimenti a scopo di estorsione, e spesso non hanno fatto ritorno a casa. Auto di pregio sono state sottratte ai proprietari con la minaccia delle armi e in molti casi chi ha opposto resistenza è stato freddato. Per anni è stato in vigore il coprifuoco notturno, e in ogni caso al calare dell’oscurità e dopo l’orario di chiusura dei negozi ben pochi osavano aggirarsi nelle strade.

Un’economia artificiosa

Un’economia artificiosa ha retto per anni queste province, sostenuta da fiumi di rubli con cui il contribuente russo ha mantenuto i propri armati e queste cupole mafiose, per conservare una testa di ponte all’interno dell’Ucraina, un bubbone infetto che legalmente impedisse che il paese potesse ottenere l’ingresso nella Nato.

Nonostante questo, e nonostante che paesi come Francia e Germania mostrassero chiaramente che non avrebbero consentito l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, il presidente russo ha deciso di forzare la situazione per recuperare l’Ucraina e sottometterla definitivamente. Il sordo livore e la determinazione feroce mostrata nel monologo televisivo, in cui non ha riconosciuto nemmeno lo status di paese autonomo all’Ucraina, rivela ampiamente cosa ci si può aspettare. Ben presto gli assetti di potere e le strutture che hanno retto queste entità fantoccio saranno rivoluzionate. Come in Crimea le mafie locali hanno dovuto, volenti o nolenti, rispondere ai nuovi padroni, così l’economia sommersa e illegale di queste enclave è destinata a cambiare sensibilmente. Con ogni probabilità, molte di queste figure non serviranno più, e nuove regole si stabiliranno a distribuire diversi profitti.

Lontano da occhi indiscreti

Resta un tema molto importante: in molte miniere di carbone non più utilizzate si sono sversate per anni, spesso con l’aiuto delle tenebre e comunque al riparo da occhi indiscreti, sostanze sconosciute, e con ogni probabilità altamente tossiche. Si parla anche di cospicue quantità di materiali radioattivi, di grande pericolosità, gettati indiscriminatamente in queste fosse.

I rischi di una catastrofe ecologica e di contaminazione delle falde acquifere sono potenzialmente devastanti, in una regione dove già i livelli di inquinamento erano altissimi, a causa delle miniere di carbone e di decenni di totale sprezzo per l’ecologia. Sino a pochi giorni fa si trattava di inquinamento, pur criminale, di territori di un paese estraneo, già ora si tratta di inquinamento in uno “stato” riconosciuto dalla Russia, quindi di una bomba ecologica interna. Ma si sa che la considerazione per questi stati fantoccio, riconosciuti o meno, non è mai stata la prima preoccupazione del potere centrale. Ora servono come testa di ponte in grado di offrire il pretesto per attaccare l’Ucraina. Anche per questo il contribuente russo li ha mantenuti per anni, con i treni di rubli che arrivavano a Debaltsevo.

Immagine su Pixabay Licence

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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