KOSOVO: La doppia sovranità dei territori serbi, tra Belgrado e Pristina quattro anni di scontri

Trascorsi ormai quattro anni dall’indipendenza, la situazione in Kosovo rimane difficile ed i rapporti tra la popolazione albanese e la minoranza serba improntati alla sfiducia. E l’area dove attualmente si concentrano le maggiori tensioni interetniche è la parte settentrionale della regione in cui si è praticamente instaurata una “doppia sovranità” che oppone lo Stato kosovaro alle locali municipalità serbe. Fin dal conseguimento della sovranità da parte della regione, i quattro comuni a maggioranza serba posti a nord del fiume Ibar – Zvecan, Zubin Potok, Leposavica e Mitrovica – hanno rigettato l’autorità di Pristina, tanto che nel Maggio del 2008 questi hanno organizzato delle elezioni municipali le quali, pur se dichiarate “illegali” dall’allora capo della missione UNMIK, sono state “de facto” riconosciute anche perché dalle urne sono usciti confermati i sindaci che in precedenza avevano operato proprio sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite.

UNMIK, missione senza fine

E lo specchio di questa situazione paradossale è il ruolo che tuttora continua a svolgere l’UNMIK. Anche se ufficialmente conclusa, la missione opera ancora nel territorio kosovaro in quanto sia per Pristina che per Belgrado la presenza dell’ONU serve politicamente a mascherare la situazione creatasi nel nord della regione. Dal 9 Dicembre 2008 la missione UNMIK avrebbe difatti dovuto formalmente cessare per essere sostituita dall’EULEX, una forza composta da magistrati ed agenti di polizia dell’Unione Europea il cui mandato era fissato in due anni eventualmente prorogabili se le circostanze lo avessero richiesto. Sul piano pratico, il passaggio di consegne si è dimostrato però fin dall’inizio di difficile, o per meglio dire impossibile, realizzazione. Riprendendo un memorandum redatto pochi mesi prima dal governo di Belgrado, il 26 Novembre 2008 il Consiglio di Sicurezza aveva approvato una risoluzione per cui l’EULEX sarebbe stata dispiegata nel nord a condizione però che non agisse sotto il mandato dell’Unione Europea e non applicasse le disposizioni del piano Ahtisaari, mentre alle municipalità sarebbe stata attribuita un’ampia autonomia interna. Inoltre, l’UNMIK avrebbe nominato un responsabile serbo per coordinare le forze dell’ordine creando inoltre degli uffici aggiuntivi di polizia nella parte settentrionale del Paese. Aspramente criticata dal governo di Pristina in quanto questa avrebbe indebolito la sovranità kosovara sul nord del Paese e posto a rischio la stessa unità del Kosovo l’applicazione la risoluzione, pur venendo incontro alle richieste avanzate da Belgrado, è stata ostacolata anche dalle autorità serbe soprattutto per quel che riguarda la gestione delle dogane, un argomento questo che rappresenta tuttora uno dei punti dove più forti risultano i contrasti tra le parti.

Da allora, la situazione nel nord del Kosovo è quella di un’area dove coesistono due “autorità parallele” che operano in un quadro di tensione e sospetto reciproco. In questo scenario immobile, l’unico cambiamento si è registrato all’interno delle locali forze politiche serbe, i cui equilibri oggi sono radicalmente mutati.

 Belgrado versa duecento milioni all’anno a Mitrovica

La sconfitta alle legislative di quattro anni fa del “Partito Democratico Serbo” ( DSS ) di Vojislav Kostunica unita all’affermazione delle forze più europeiste ed alla formazione di un nuovo esecutivo più propenso al dialogo con la comunità internazionale ha prodotto i suoi effetti anche nella regione, dove il nuovo governo di Mirko Cvetkovic non solo ha ridotto il peso del Ministero per il Kosovo al quale è ora preclusa ogni attività diplomatica, ma ha anche ridimensionato il ruolo delle municipalità kosovare settentrionali all’interno del “Centro di Coordinamento del Kosovo” ( CCK ), una struttura incaricata di coordinare l’attività delle forze politiche serbe ma che con il tempo era divenuto soltanto un’emanazione del DSS e dei comuni del nord, mentre sul piano investigativo si è tradotto in una più incisiva azione contro le attività illegali, il contrabbando ed il commercio abusivo di carburanti.

Resta il fatto che il Kosovo settentrionale rappresenta tuttora un onere finanziario non indifferente per Belgrado. Anche se i contributi si sono ridotti di oltre il 30% rispetto al decennio passato, il governo serbo continua ad elargire almeno duecento milioni di euro l’anno che assicurano il mantenimento dell’Università di Mitrovica Nord insieme ad una rete di servizi sociali, previdenziali ed amministrativi per i locali cittadini serbi che così vengono a godere, paradossalmente, di un reddito maggiore di quello dei residenti in Serbia. I problemi, quindi, continuano a rimanere sostanzialmente irrisolti. Gran parte dei serbi continuano a respingere l’idea di un Kosovo sovrano accusando gli albanesi di non far nulla per creare un clima di convivenza, una tesi questa respinta da Pristina per la quale invece è Belgrado a non voler prendere atto dell’indipendenza della regione contribuendo poi, con il suo appoggio alle aspirazioni autonomiste dei propri connazionali, al peggioramento nelle relazioni.

Kosovo, un esperimento politico fallimentare?

Per molti l’integrazione della minoranza serba all’interno del Kosovo non porterebbe altro che una maggiore discriminazione della quale si continua ad accusare principalmente la comunità internazionale, ritenuta responsabile di avere attuato nel Kosovo un esperimento politico fallimentare operato tra l’altro senza avere una minima conoscenza della realtà locale. Il tutto mentre la criminalità nelle zone settentrionali continua a rimanere a livelli sensibilmente più alti di quelli, peraltro già elevati, esistenti nelle altre parti della regione, senza contare poi come la presenza di un’economia illegale contribuisce a peggiorare ulteriormente la situazione.

La stragrande maggioranza dei cittadini delle municipalità serbe del nord non ripone alcuna fiducia nella polizia, i cui effettivi, pur se di nazionalità serba, sono visti con disprezzo in quanto accusati di prestare servizio per lo Stato kosovaro. La capacità delle forze dell’ordine presenti nel nord risulta così assai limitata proprio per l’estrema difficoltà a collaborare con le autorità politiche ed amministrative locali, mentre un ulteriore elemento di disturbo viene dal fatto che sul terreno continuano ad operare appartenenti ai vecchi MUP serbi. Nonostante la “Risoluzione 1244” proibisca alle forze di Belgrado di stazionare nella regione, stando invece a quanto riportato dall’“International Crisis Group”, agenti di Belgrado in divisa ed in borghese sarebbero tuttora presenti nei comuni del nord, dove disporrebbero anche di un ufficio a Mitrovica incaricato di rilasciare documenti e certificati per i locali cittadini serbi.

La difficile amministrazione della giustizia

La stessa amministrazione della giustizia nel nord si poi presenta problematica, con il Tribunale di Mitrovica che lavora a ritmo ridottissimo data l’impossibilità di trovare un accordo sulla nomina dei magistrati serbi ed albanesi da dislocare nei locali uffici. Va detto però che questo quadro critico esiste anche nella parte meridionale della regione, dove ormai solo i casi più urgenti vengono presi in esame dalla magistratura. Il debole controllo esercitato da Pristina sulle municipalità del nord ha quindi creato una struttura politica ed amministrativa parallela che ha finito per arrecare anche un notevole danno economico allo Stato kosovaro privandolo di una parte considerevole delle entrate doganali. Dalla proclamazione dell’indipendenza, Belgrado infatti impedisce alle autorità kosovare di riscuotere le imposte sulle merci in entrata dal nord del Paese sostenendo come solo l’UNMIK disponga di questa prerogativa, una misura che, si stima, abbia privato le finanze di Pristina di almeno trenta o quaranta milioni di euro annui di gettito fiscale. Il governo serbo afferma poi come la misura sia stata adottata non solo perchè i prodotti diretti in Kosovo risultano esenti da IVA e degli altri tributi previsti in Serbia ma anche per il fatto che recano sui documenti lo stemma kosovaro con scritto “Repubblica del Kosovo”.

Valichi invalicabili

Davanti a questi provvedimenti, Pristina a sua volta ha risposto decretando un embargo nei confronti dei prodotti serbi che, secondo quanto riportato dalla Camera di Commercio di Belgrado, sta causando al Paese un calo delle entrate di almeno trenta milioni di euro l’anno. E proprio i contrasti sulle questioni doganali sono stati alla base delle nuove tensioni esplose nella regione la scorsa estate. Intenzionata a ristabilire la sua autorità sui valichi situati nel nord, Pristina alla fine di Luglio aveva inviato dei reparti speciali della polizia per assumere il controllo delle postazioni di frontiera di Jarinje e Brnjak, un’azione risoltasi in un fallimento visto che le unità kosovare sono state costrette ad abbandonarle dopo appena pochi giorni ed a cederne l’amministrazione alla KFOR. Così, per evitare di aggiungere ulteriori elementi di tensione in una situazione già critica, nel settembre scorso l’inviato dell’Unione Europea, Robert Cooper, ha raggiunto un’intesa con le parti in base alla quale Pristina avrebbe cancellato dai timbri doganali ogni riferimento alla “Repubblica del Kosovo” in cambio dell’accettazione da parte serba della loro validità. L’accordo non ha però risolto il problema, tanto che poco dopo le autorità kosovare hanno inviato alcuni funzionari come osservatori ai valichi di frontiera, una mossa duramente contestata dalla popolazione serba e dallo stesso governo di Belgrado in quanto considerata una provocazione ed una palese violazione degli accordi sottoscritti solo qualche settimana prima. Negli ultimi mesi le parti hanno cercato comunque di riannodare il dialogo, rispondendo in questo modo anche ad una delle condizioni richieste dalle istituzioni europee la quale ha sempre affermato come il negoziato per l’adesione di Belgrado alla UE non potrà avviarsi senza un effettivo miglioramento delle relazioni serbo – albanesi.

Il referendum o l’intesa

Lo scorso dicembre, le due delegazioni hanno quindi raggiunto un’intesa sui confini ( Integrated Borders Measure ) con cui i due Paesi si impegnano ad istituire dei comuni posti di frontiera, nei quali verranno dislocati anche agenti della polizia serba e kosovara unitamente a rappresentanti dell’EULEX, nonché ad armonizzare le loro legislazioni agli standard dell’Unione Europea. Sul piano politico, Belgrado all’inizio dell’anno ha poi avanzato una nuova proposta per giungere ad una soluzione su una serie di questioni particolarmente sentite dal governo serbo. Presentato dal Presidente Boris Tadic ed articolato in quattro punti il piano, dal quale è escluso ogni riferimento allo status della regione, prevede delle particolari tutele per i luoghi sacri ortodossi e per i serbi residenti nella parte meridionale del Kosovo, una soluzione per risolvere il contenzioso sulle proprietà abbandonate dai cittadini serbi fuggiti al termine del conflitto e, soprattutto, l’introduzione di uno statuto speciale di autonomia per la zona settentrionale. La reazione della comunità internazionale è stata però alquanto attendista, sottolineando come, per una ripresa effettiva del dialogo tra Belgrado e Pristina, è opportuno che le istituzioni parallele create dalle municipalità serbe del nord vengano smantellate così da assicurare il rispetto dell’integrità territoriale kosovara. Sul tavolo resta però aperta la questione del referendum, convocato dalle quattro municipalità del Kosovo settentrionale per il 15 febbraio, con cui si chiederà ai cittadini serbi residenti se desiderano accettare o meno la sovranità di Pristina.

Ritenuta illegale e priva di qualsiasi valore giuridico dal governo kosovaro, la consultazione vede però anche la contrarietà di Belgrado, preoccupata dagli effetti negativi che il voto potrebbe arrecare al suo percorso di avvicinamento verso l’UE. La situazione rimane quindi quantomai incerta e solo nei prossimi mesi, probabilmente dopo che le elezioni serbe avranno indicato più chiaramente quale indirizzo prenderà il Paese, si capirà se per il Kosovo potrà aprirsi o meno una nuova fase.

*Rodolfo Bastianelli, docente universitario e giornalista, collabora con “Charta Minuta”, “L’Occidentale”, “Informazioni della Difesa”, “Rivista Marittima” e il web magazine dello IAI “Affari Internazionali” occupandosi di politica estera.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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