CROAZIA: La lunga strada verso l’Unione Europea /2 – Da Sanader all'adesione (2003-2012)

di Nicolò de Fanti

Il 23 novembre 2003 l’Hdz, guidato da Ivo Sanader, vinse le elezioni politiche riprendendosi dopo tre anni la maggioranza al Sabor di Zagabria. La sfida, per il giovane Premier spalatino, era ora quella di  riuscire a riformare il principale partito croato, bollato dalle Istituzioni Europee come ultra-nazionalista e fautore di quella politica monoetnica ed intollerante insostenibile per un paese che intendeva avanzare la sua candidatura Europea.

L’affaire Gotovina e i serbi di Krajina

Bruxelles esigeva dal governo in carica innanzitutto la consegna, al Tribunale Internazionale dell’Aja, degli ufficiali croati rimasti impuniti nel recente conflitto e troppe volte in passato, spalleggiati e protetti dal sistema di potere collegato al partito stesso. L’ingrediente principale nel menù delle richieste europee consisteva infatti nella cattura del generale Ante Gotovina comandante in capo dell’esercito croato durante la famigerata operazione Tempesta.

Accusato dal Tpi già dall’estate nel 2001 per crimini di guerra perpetrati ai danni della minoranza serba della Krajina, l’ex componente della Legione straniera risultava essere ancora “uccel di bosco”, nonostante da anni venissero inviate sulle sue tracce squadre di reparti speciali, istituite taglie in denaro per la sua cattura, e dall’Olanda si susseguissero reiterati ammonimenti di scarsa cooperazione alla Croazia. Lo scomodo fascicolo, già intrapreso dal precedente esecutivo di centrosinistra, aveva realmente generato una lacerante ferita nel paese.

Parte dell’opinione pubblica si allineò infatti, negli anni della sua latitanza, a fianco del Generale alimentando in questo modo un inaspettato sentimento euroscettico imperniato su fervori patriottico-estremisti che contemplavano Gotovina come eroe popolare e vedevano nella comunità serba il nemico principale della nazione. L’estrema destra croata più oltranzista (dentro e fuori Hdz) si schierò apertamente contro il Tpi e contro l’Europa e perseverò in quella campagna di intimazione verso la minoranza serba rimasta in Croazia. Addirittura comparvero in alcune località del paese monumenti inneggianti a leader del passato movimento filonazista ustascia che Sanader fu costretto a rimuovere nel corso del 2004. Questa derivazione, condita da migliaia di enormi manifesti pro-Gotovina disseminati in tutta la Croazia, mise seriamente in discussione gli sforzi compiuti dalle istituzioni croate dal2000 inavanti.

Il diritto al rientro dei profughi serbi e la tutela delle minoranze apparivano in questa fase essenziali per appianare l’irto percorso europeo di Zagabria. Dalla fine della guerra soltanto 125.000 serbi su 400.000 mila erano potuti ritornare in Croazia, schiavi di una procedura burocratica messa in atto proprio per impedirglielo. Inoltre una volta rientrati, una normativa discriminatoria negava loro il riconoscimento dei diritti di cittadinanza. Veniva a compimento cosi il progetto nazionalista improntato quindici anni prima da Tudjman intento a creare una Croazia espressione del solo popolo croato. Con l’emanazione della Domovnica dal 1992 (un questionario obbligatorio di una trentina di domande dove bisognava dichiarare, tra l’altro, la religione professata e l’etnia di appartenenza), si regolò il criterio di cittadinanza croata, sostanzialmente negandola alle minoranze, soprattutto a quella serba. Essi risultavano oltretutto vittime di regolari soprusi e minacce, non riuscendo nemmeno a riottenere i loro diritti di locazione, molte volte concessi a croati scacciati a loro volta dalla Bosnia.

Sanader cercò subito di stemperare la tensione per la “questione minoranze”  trascorrendo il Natale di rito ortodosso assieme alla minoranza serba di Zagabria ed impostando le basi per un dialogo politico costante con il partito democratico serbo che nel corso del suo mandato gli diede addirittura l’appoggio esterno, cosa semplicemente inimmaginabile per l’Hdz ai tempi di Tudjman.

Nella notte tra sette e otto dicembre 2005 Ante Gotovina venne catturato presso l’isola di Tenerife. Due mesi prima il positivo rapporto di Carla del Ponte sulla completa cooperazione della Croazia con il Tpi, aveva finalmente innescato l’avvio dei negoziati sull’adesione all’UE.

La crisi di Pirano

Archiviato positivamente il capitolo Gotovina,si interpose tra Zagabria e Bruxelles quello relativo al contenzioso marittimo conla Slovenia per la baia di Pirano. Lubiana pretendeva di avere nel piccolo golfo istriano un libero corridoio di transito per collegare le proprie acque ed i propri traffici commerciali alle acque internazionali senza dover necessariamente navigare in quelle croate.

Già nel 2001 il governo Racan sembrava essere vicino all’accordo definitivo ma poi rinunciò al compromesso. La questione si trascinò insoluta negli anni seguenti e si acuì ulteriormente nel 2005 quandola Slovenia (dopo il suo ingresso nell’Unione Europea) decise di istituire delle zone di pesca coincidenti però con le acque dell’intera baia.

Nel 2008 a peggiorare ulteriormente le relazioni diplomatiche tra le due ex repubbliche jugoslave si aggiunse la disputa confinaria sui terreni adiacenti al fiume Dragogna rivendicati invano da entrambi i paesi. Non trovò soluzione nemmeno il tentativo di mediazione da parte del Commissario Europeo per l’Allargamento, Olli Rehin, che ebbe come risposta il determinante veto sloveno ( in quanto paese membro) sull’entrata della Croazia che per dieci mesi paralizzò totalmente i negoziati di adesione.

Per sbrogliare definitivamente l’intricata controversia occorse commissionarla a terzi, o meglio delegarla ad un Concordato Internazionale. Solo dopo l’accordo ratificato il 4 novembre 2009 dai Premier di entrambi i paesi e un referendum popolare sloveno superato  col 51,5%  dei consensi, fu messa la parola fine alla ventennale diatriba e poterono finalmente ripartire i capitoli di adesione croati.

Le richieste europee

Nel corso delle trattative, vi furono da parte di Bruxelles, continue esortazioni riguardanti necessari cambiamenti strutturali da intraprendere, quali il riordino del sistema giudiziario e la riforma di quello sanitario con lo scivolamento degli oneri verso i privati. Indispensabili apparivano anche lo svecchiamento della pubblica amministrazione che gravava enormemente nel bilancio, la diversificazione dei finanziamenti economici statali da ridurre per non allargare ulteriormente il già forte deficit contratto, l’invito velato di sospendere ogni forma di ingerenza politica in Erzegovina (regione a maggioranza relativa croata posta dentro i confini della Bosnia), la modernizzazione organica dell’esercito in funzione di una sua futura integrazione nella Nato, ed una svolta delle condizioni monetarie, fiscali ed economiche richiesta anche dal Fondo Monetario Internazionale.

Gli scandali finanziario-criminali

Iniziarono cosi a susseguirsi uno dietro l’altro negli anni clamorosi scandali di matrice finanziaria-criminale, in cui risultavano coinvolti sempre più spesso rappresentanti delle istituzioni, che ebbero come conseguenza la drastica caduta della fiducia dei cittadini verso chi li rappresentava. Nell’opinione pubblica traguardi di politica estera conseguiti come l’ingresso nella Nato del 2008 o da conseguire come l’entrata in Europa, sfilarono decisamente in secondo piano messi di fronte alla difficile situazione interna. La classe politica al potere continuava a sbandierare come trionfali ed indispensabili questi obiettivi ma la reale situazione sociale ed economica percepita dalla popolazione, nonostante un turismo in forte espansione, risultava essere in recessione, con un debito estero in costante crescita ed una società in completa balia di una corruzione dilagante sfuggita di mano anche alla alte sfere del potere.Lo sviluppo economico del paese era infatti palesemente intralciato da un anomalo numero di industrie e imprese nazionali che nonostante ricevessero dei cospicui aiuti economici statali esibivano a fine anno bilanci disastrosi. Queste aziende, durante la gestione Hdz, erano state assegnate a duecento famiglie di riprovata fede al partito,  rimettendo in questo modo il “timone finanziarionelle mani di un’oligarchia ristretta e devota.

Attraverso quella che Emilio Cocco ha definito come la “Rapina del secolo”, nel corso degli anni novanta l’Hdz, denazionalizzò gli enormi patrimoni statali ereditati dalla Jugoslavia socialista tramutandoli inizialmente in proprietà pubbliche. Tudjman, per ricompensare chi aveva sovvenzionato il partito e la guerra (molto spesso stranieri di origine croata trafficanti di armi) pote’ saldare il suo conto utilizzando queste società come merce di scambio. Moltissime vennero incanalate in fidate mani private e depredate senza ritegno prima di ritornare nuovamente nelle mani dello stato in condizioni disperate. Questa “vendita pilotata” che secondo i vertici Hdz sarebbe avvenuta nell’interesse nazionale, in realtà procurò una vera catastrofe economica per il paese: aumentò la disoccupazione, si ridusse la produttività, si ridimensionò nel suo complesso la prosperità nazionale a vantaggio di pochi magnati, ma soprattutto irruppero in modo devastante ed incontrollabile nella nuova società croata corruzione e criminalità.

Le dimissioni di Sanader e la virata a sinistra

Il 1° luglio 2009 il Premier in carica, Ivo Sanader si dimise improvvisamente da ogni incarico e senza nessuna spiegazione abbandonò la Croazia nel caos più completo.

Il trauma, per un paese prossimo a diventare il 28° esimo membro dell’Unione Europea fu fortissimo. Jadranka Kosor premier designata a succedergli, dovette disperatamente cercare di recuperare nei cittadini quelle aspettative che anni di degenerazione immorale, arricchimenti illeciti, arresti eccellenti, malversazione politica avevano fatto completamente disperdere.

Furono queste motivazioni, sommate alla pessima congiuntura monetaria, ad infiammare i malumori sociali deflagrati in proteste di piazza nei primi mesi del 2010 e proseguite nel 2011. Proprio quandola nazione riceveva ufficialmente il via libera all’ingresso comunitario, manifestazioni misero in luce un crescente impulso anti- Europeo con bandiere dell’Unione bruciate e sondaggi che registravano una percentuale sempre crescente di croati esitanti o sfavorevoli all’ingresso. Parte dei cittadini, aderenti ad entrambi gli schieramenti politici, avvertiva ora nella Comunità Europea, solo una rigida struttura finanziaria non certo in grado di sollevare il paese dalla recessione. I maggiori timori erano quelli, una volta incorporati nelle direttive finanziarie comunitarie, di sprofondare nel modo in cui stava crollando l’economia greca, e come l’impatto dell’imposizione di svariate normative regolatrici, avrebbe influito negativamente nei vitali settori della cantieristica,dell’agricoltura e della pesca.

Si aprono le porte dell’Unione

Con Sanader arrestato ed incarcerato dopo una disperata fuga in Austria, esponenti del governo condannati per corruzione e amministrazione disonesta e addirittura Hdz,  il partito che ha governato il paese per ben diciassette nei venti totali di Indipendenza, indagato nella sua interezza sembra finalmente terminata la luna di miele con l’elettorato croato.

Lo spostamento deciso del paese verso sinistra negli ultimi due anni, l’elezione di Ivo Josipovic Presidente della Repubblica ed il giovane socialdemocratico Zoran Milanovic a capo della coalizione trionfatrice nelle ultime elezioni, sono certamente da interpretare come una chiara risposta all’operato Hdz ed un disperato tentativo di svoltare decisamente pagina.

Il 9 dicembre scorso i Capi di Stato ed il governo dell’Unione Europea hanno ufficialmente firmato il trattato di adesione della Croazia che diventerà dal primo Luglio del 2013 il ventottesimo membro dell’Unione.

Il ventidue Gennaio prossimo però, la parola passerà al popolo croato, che tramite un referendum, potrà decidere sull’adesione o meno del paese mettendo cosi la parola fine ad una storia cominciata più di vent’anni fa.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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