SERBIA: Tra le barriere e l'Europa

di Valentina Di Cesare

Murales a Mitrovica, capoluogo del Kosovo settentrionale a maggioranza serba

Quali sono le “barriere” reali o presunte ad ostacolare i cosiddetti “negoziati tecnici” tra la Serbia e il Kosovo? Barriere reali o solo simboliche? Barriere che si innalzano al di sopra di tutto o barriere che col tempo si sgretoleranno? E’ quello che in molti si chiedono dopo gli ennesimi avvenimenti accaduti ai confini nord del Kosovo, e soprattutto dopo la decisione dell’Unione Europea che ha rinviato a marzo 2012 lo status di paese candidato per la Serbia, sottolineando comunque “i progressi” fatti da Belgrado per soddisfare i criteri dell’accordo di stabilizzazione e per adempiere alle richieste del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.

Dopo mesi rimbalza come un’eco lontana la voce dei cugini balcanici e si sente di nuovo parlare di Kosovo, regione in cui nonostante il silenzio assordante dei maggiori canali di informazione europei, le tensioni tra albanesi e serbi non si sono mai arrestate, dai tempi del conflitto, “conclusosi” nel 1999.
Come prevede una certa prassi politica, tali scontri opportunamente ignorati per anni, divengono all’improvviso ora, i perni sui cui riflettere, allorchè diventa impossibile ignorarne l’esistenza.

Dalla fine dello scorso novembre in concomitanza con le tanto agognate “prove d’ingresso” della Serbia nell’Unione Europea, proprio sul confine kosovaro nei pressi di alcune barricate usate come linee di limite territoriale, si sono intensificati gli scontri tra i nazionalisti serbi e le forze del KFOR (Kosovo Force, nome del contingente militare Nato locale). Il Presidente serbo Boris Tadic, al cospetto di un responso da parte dell’UE, si è detto molto preoccupato sugli ultimi accadimenti che potrebbero ostacolare la posizione della Serbia rispetto alla sua “credibilità” e rallentarne così l’ ingresso nell’Unione.

La Merkel ha fatto notare come i recenti scontri tra soldati Nato e serbi ai confini, mostrino che forse Belgrado non sia ancora pronta ad entrare nel’Unione. I premier degli stati più influenti d’Europa infatti, si limitano ad osservare la crisi serbo-kosovara e a considerarla un deterrente per la stabilità nei Balcani, mentre i politici del luogo mirano a mantenere posizioni di apertura nei confronti dell’Europa e nel contempo tentano di sedare gli attriti interni nelle zone calde del paese, per cercare di mantenere i seppur precari equilibri tra le parti.

“Un ritardo nella candidatura serba in Europa può aumentare l’instabilità nei Balcani e riaccendere i fuochi dei nazionalismi“, ha dichiarato il premier serbo Tadic alle pagine del ‘Frankfurter Allgemeine Zeitung’ mentre i serbi del Kosovo l’8 dicembre hanno deciso di bloccare nuovamente i confini al nord , lanciando anche un indiretto messaggio a Belgrado. I serbi che vivono al confine nord col Kosovo hanno dimostrato con le loro azioni di non aver fiducia nelle prospettive europee della Serbia non tenendo affatto a mente gli appelli del presidente Tadic, impegnato in quegli istanti a Bruxelles.

Anche la chiesa ortodossa si è schierata a fianco dei dimostranti, osservando in tutto il Paese una giornata di preghiera per la provincia serba del Sud; da Prizren l’arcivescovo Thedosije, ha fatto sapere che il governo centrale non ha mai dimenticato nella lenta ricostruzione del futuro, i serbi della provincia del nord.

Al di là delle affermazioni delle autorità, oltre i ritagli di una certa stampa che senza sangue non dà peso agli eventi, quello che stenta a venir fuori dalle cronache kosovare degli ultimi giorni, è la vita di ogni giorno, la vita di albanesi e serbi che combattono sempre più alla mercè di interessi politici inarrivabili, di cui essi purtroppo si sentono rappresentanti. L’ imprecisione di certe informazioni porta ad incrementare i già eccessivi pregiudizi sui territori balcanici da parte dell’opinione internazionle, e con una tensione reale così alta è difficile trovare una strategia politica davvero risolutiva: finora sono state proprio le strategie sbagliate , a infuocare ancor di più gli animi dei kosovari, albanesi e serbi.

Tutte le ingerenze politiche sul Kosovo specialmente quelle internazionali non hanno mai considerato una smilitarizzazione della zona e dal 1999 nel susseguirsi di mosse azzardate e di lontananza tra civili e istituzioni, i serbi considerano le forze militari internazionali sul territorio come occupatori, gli albanesi al contrario li vedono come alleati. Sembra che le decisioni politiche sul futuro del Kosovo non diano la dovuta attenzione alla vita reale della gente che vi abita, mentre la politica continua a ignorare volutamente il progressivo cambiamento dei sentimenti di resistenza da ambedue le parti.

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5 commenti

  1. claudio vito buttazzo

    Il Kossovo è Serbia, allo stesso modo come l’Alto Adige (o Sudtyrol) è Italia, l’Irlanda del Nord è Gran Bretagna, la California è Usa, il Tibet è Cina. O tutti indipendenti o nessuno! Xchè fare eccezione x il Kossovo? Xchè lì c’è la più grande base amerikana? E xchè bisogna consentire alla mafia kossovara e ai generali della Kfor di continuare gestire i propri milardari traffici di droga e di prostituzione?

    • Grazie Claudio almeno qualcuno ha capito…e aggiungo che oggi più che mai è difficile essere serbo…

      • claudio vito buttazzo

        grazie a te, katarina. ma sta tranquilla: tutti i nodi vengono al pettine.
        ma i governanti della serbia, invece di petulare l’ingresso nell’europa della nato e dell’arroganza liberista e imperialista, farebbero meglio a legarsi all’economia del brics (brasile, russia, india, cina, sudafrica). la serbia ne guadagnerebbe in termini di sicurezza e sviluppo economico. l’impero occidentale è ormai avviato alla fine che merita.

  2. paragonare Kosovo a Irlanda o Südtirol (con la “y” … sic!) è quanto mai sbagliato … si mettono sullo stesso piano radici storiche e culturali che precedono la battaglia di Kosovo Polije con nazionalismi di ispirazione ottocentesca sfociati nelle violenze del novecento (nel caso del Sud Tirolo) e colonialismi militari (nel caso dell’Irlanda) …
    il discorso del Tibet nemmeno l’affronto… non penso ci siano le premesse nemmeno per comprenderlo.

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