Lo Jobbik ungherese

Il caso più eclatante tra i movimenti di estrema destra nell’est Europa è sicuramente quello ungherese. Il partito Jobbik (Jobboldali Ifjúsági Közösség- Movimento per un’Ungheria Migliore) ha ottenuto il suo risultato migliore, 16,7% dei consensi e 47 seggi al parlamento di Budapest, alle ultime elezioni politiche nell’aprile 2010, affermandosi come terzo partito del Paese. I socialisti – al governo dalla caduta del muro di Berlino – si fermarono al 19,3%. Solo la plateale vittoria di Fidesz (partito conservatore caratterizzato da un moderato nazionalismo e da un convinto europeismo) e del suo leader Viktor Orban raccolsero la maggioranza dei voti, 52,7%, ed evitarono la temuta coalizione di governo con Jobbik. Fidesz andò al governo da solo esprimendo una maggioranza dei due terzi in Parlamento (per via del complicato sistema a doppio turno). Ma torniamo a Jobbik.

LE ORIGINI

Originariamente fondato nel 2002 come associazione di giovani universitari cattolici e protestanti, Jobbik diventa partito vero e proprio nel 2003 sotto la guida di Gergely Pongrátz, eroe di guerra e veterano della rivolta antisovietica del 1956. A quei valori di libertà della patria, di orgoglio ungherese, di nazionalismo e anticomunismo si aggancia la retorica populista di Jobbik. Per prima cosa il neonato partito si legò al MIEP (Partito della Giustizia e della Vita), che propugnava un nazionalismo su base razziale, che già nelle elezioni del 1998 raccolse il 5% dei consensi.

Ben presto Jobbik soppiantò MIEP, facendo sue le retoriche razziste e il mito pannonico della “grande Ungheria”, appoggiando l’irredentismo delle minoranze magiare nei Carpazi, nella Transilvania rumena e nella Slavonia croata, sulla base di quel revisionismo storico che vorrebbe stracciare il trattato di Trianon del 1920, che comportò un sostanziale ridimensionamento dell’Ungheria, nonché la fine della Doppia Monarchia dell’Austria-Ungheria.

IL 2006 E LA GUARDIA NAZIONALE

Nel 2006 cavalcò la rivolta contro il Primo Ministro Gyurcsány, espressione del Partito Socialista al potere (vedi “L’onda lunga del 2006”), distinguendosi per il suo radicale anti-comunismo. Le elezioni europee del 2008 furono un successo inatteso per Jobbik. La retorica populista aveva fatto presa su gran parte della popolazione rurale, che non credeva più nella classe dirigente socialista che governava il Paese dal 1990. Il razzismo contro i Rom e il nazionalismo fecero il resto, anti-europeismo compreso. Nel 2007 inoltre Jobbik istituì, su iniziativa del leader di partito Gabor Vona, la “Guardia Nazionale Ungherese” a scopo di “mantenimento dell’ordine pubblico” e “autodifesa nazionale”. Una camicia bruna e l’effigie imperiale come divisa, rammentarono subito all’Europa occidentale l’incubo delle squadre nazi-fasciste.

La “Guardia Ungherese” (Magyar Gárda) è un’organizzazione paramilitare che nasce parallelamente al profondo discredito di cui è stata vittima la polizia della Repubblica, accusata di incapacità e inadempienze. Il tema dell’ordine pubblico è stato uno dei cavalli di battaglia di Jobbik, insieme a quella  retorica “imperiale” che solletica la grandeur magiara.

Nel 2008, poco prima delle elezioni europee, una delegazione di Jobbik incontrò a Londra il discusso leader del “British National Party“, Nick Griffin, discutendo una cooperazione tra i due partiti.
Successivamente, nel luglio 2009, la Corte d’Appello ungherese ha bandito la Guardia Ungherese per attività contro i diritti umani delle minoranze riconosciuti dalla Costituzione ungherese.

L’ANTISEMITISMO

Nel 2009 infine, Krisztina Morvai, neoeletta di Jobbik a Strasburgo, ha dichiarato in un messaggio diretto agli ebrei ungheresi che sarebbe  “contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli cazzi circoncisi, invece di insultare me”. L’insulto sarebbe venuto da Gabor Barat, amministratore di un istituto radiologico di New York, che dicendosi «fiero di essere un emigrato ebreo e ungherese» aveva definito la Morvai «un caso psichiatrico, un mostro» per i suoi discorsi durante la campagna elettorale. La risposta, una sorta di missiva agli ebrei, andava anche più in là: «La gente come voi è abituata a vedere la gente come noi mettersi sull’ attenti ogni volta che date sfogo alle vostre flatulenze. Dovreste per cortesia rendervi conto che tutto questo è finito. Abbiamo rialzato la testa e non tollereremo più il vostro tipo di terrore. Ci riprenderemo il nostro Paese».

Infine, nel corso del 2012, Jobbik ha spinto il proprio carattere antisemita all’estremo. La scorsa primavera un parlamentare diede scalpore per aver commemorato “l’accusa del sangue”, un tipo di accusa antisemita diffusasi nei secoli e che nel 1882 diffuse in Austria-Ungheria la “caccia all’ebreo”; e soprattutto, la proposta di Márton Gyöngyösi dello scorso novembre, di censire i cittadini ebrei in quanto “pericolo nazionale”.

Jobbik in Ungheria, così come altri partiti d’estrema destra nel resto d’Europa, ha dimostrato di saper veicolare quelle istanze nazionaliste e razziste che l’Europa Unita sembrava aver smantellato.
Ora spetta alla società civile il compito di eliminare il pericolo di una deriva estremista dallo scenario politico ungherese.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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8 commenti

  1. Spero che questo partito vinca le elezioni e che tutti i popoli europei, come dice, giustamente, la Morvai SI RIPRENDANO CIO’ che è loro.

  2. beh, veramente l’Ungheria le squadre anti-fasciste le ha conosciute eccome, le tristi croci flecciate, come in parte dell’Italia ad un regime fascista (l’ammiraglio Horty) fece seguito un regime nazista che semino’ il terrore nel paese, lasciando dietro di se’ morte e devastazione. L’Ungheria fu l’ultimo alleato della Germania nazista ad arrendersi.

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